Esistono molti libri relativi al business, in genere ne vengono pubblicati decine di migliaia all’anno, la maggior parte in lingua inglese, qualcuno ha venduto un paio di milioni copie come Good to Great di Jim Collins, e la maggior parte delle persone li compra per trovare una soluzione alle proprie problematiche di management di tutti i giorni. Questo libro è stato strutturato con questo spirito: offrire uno sbocco di successo ai milioni di idee strategiche che attraversano le menti del mondo del business profit e no-profit. Un’idea brillante o una visione lungimirante si può trasformare e concretizzare in un’azione di successo seguendo un processo metodologico. Si parte da un’idea o visione, si analizza la sua fattibilità, si definisce, si pianifica e si esegue misurandone l’efficacia. Questo ciclo si chiama processo strategico o meglio, come il titolo del libro riporta, strategic planning, dove arte e scienza si uniscono e creano un percorso di riferimento per mettere in pratica una strategia comune per una nuova iniziativa o un’attività in crescita.

Fino a qui può sembrare tutto un po’ scontato, nulla di nuovo, bene o male tutti pensano di sapere cos’è una strategia e che cosa occorre per realizzarla. La maggior parte di queste strategie è animata da emozioni che generano motivazione nell’individuo ma che non hanno nessuna base strutturale, e molte volte sfociano in perdite dolorose, in attività stagnanti o, nei casi estremi, arrivano al fallimento. Questa superficialità nell’eseguire senza definire e pianificare prima, nel mondo di oggi, così sofisticato e veloce non funziona più.

Il mondo del business, anche quello del no-profit, è diventato estremamente concorrenziale, si compete con una miriade di giocatori che hanno l’abilità di penetrare mercati remoti con estrema facilità, grazie al flusso delle informazioni e all’accesso.

Non esistono più i campionati regionali o nazionali, si è perennemente coinvolti in un’olimpiade mondiale. Il vantaggio competitivo non consiste più nell’avere un prodotto o un servizio superiore, ma anche nel mettere in pratica continuamente piani innovativi con velocità e scientificità tale da mantenere primati a cui la massa continuamente si avvicina.

Come rispondere a questo?

Bisogna essere strutturati, predisporre processi metodologici che aiutano a capire cosa fare, perché e come e possedere adeguate competenze, conoscenze tecniche e manageriali come i soft skills che comprendono materie di base come la comunicazione, la gestione di un team, la gestione dei rischi dei tempi e dei costi e della velocità.

Strategic planning non è una nuova scienza, è sempre esistita, è un processo che il manager a ogni livello deve conoscere e saper applicare. Aiuta ad analizzare cosa si vuole fare e perché, verificandone la fattibilità, aiuta a capire come fare attraverso la pianificazione, e infine aiuta a fare con successo, creando un percorso sul quale il pilota può esprimere le sue capacità e competenze di esecuzione. È come entrare in un deserto con una mappa nella mano, acqua, cibo, tempi previsti, punti di percorrenza e abbastanza benzina per affrontare l’intero percorso.

Affronteresti un percorso del genere senza predisporre di questi elementi?

Tempo fa ho ricevuto la visita di due amici, il primo un imprenditore con un’esperienza di successo alle spalle, l’altro un manager in carriera, che avevano in mente di sviluppare una nuova iniziativa, piuttosto ambiziosa, nel settore delle energie rinnovabili. Ho riunito diversi specialisti e insieme li abbiamo ascoltati con attenzione per circa un’ora. Alla fine della riunione ci fu uno scambio di sguardi, nessuno aveva capito cosa volevano fare o meglio come realizzare quello che pensavano di voler fare. Rimasi molto sorpreso vista l’esperienza dei due, fu una presentazione inefficace e controproducente. In verità, alla base di tutto non esisteva una strategia, avevano un’idea brillante, ma non un percorso di realizzazione. È quanto gli dissi successivamente al telefono. Dopo mesi, spinti dalla forte determinazione imprenditoriale di portare avanti l’idea, finirono per affidarsi a specialisti per essere aiutati a definire un percorso strategico e a tradurlo in un piano di business. Tornarono dopo circa otto mesi con un piano strutturato. Per farla breve, attraverso quell’esercizio, ottennero un supporto finanziario di 46 milioni di dollari tra investitori e finanziatori. Uno dei due in seguito mi confidò che solo attraverso lo sforzo di decifrare quello che avevano in mente, riuscirono a definire l’intero percorso sul quale l’iniziativa si sarebbe dovuta sviluppare, non solo per comunicarla ai terzi interessati ma per far luce a loro stessi.

È la stessa affermazione di Jeff Bezos, fondatore e CEO di Amazon, divenuta in dieci anni un colosso da decine di miliardi di fatturato, che scrive nella prefazione del libro di Edward Rogoff Bankable Business Plan, in merito alla nascita del piano di business di Amazon: “Scrivendo, le idee che avevo in testa prendevano corpo e la mia strategia migliorava perché lo scrivere stimolava l’esercizio mentale aiutandomi a visualizzare cosa sarei andato a fare. L’idea di scrivere il business plan era principalmente nata per creare un mezzo di comunicazione con i potenziali investitori, invece incredibilmente realizzai quanto fosse importante per me e quante cose scoprivo mettendole per iscritto.”

Tratta dalla introduzione del libro Strategic Planning di Hoepli 2009  (www.pianificazionestrategica.com)